Ma i dati e le ricerche sono ancora troppo centrate sull’Occidente
Il nord del mondo parla molto di economia circolare. Ma è il sud del mondo che potrebbe trarne i maggiori benefici. Non tanto in termini di creazione di nuovi posti di lavoro. Quanto in un radicale miglioramento delle condizioni di lavoro. Al momento però mancano i dati e le ricerche. I pochi studi sugli impatti socioeconomici dell’economia circolare sono “faziosi” (biased). Analizzano prevalentemente filiere strutturate delle economie più sviluppate. Poco si sa di quell’economia informale che gravita intorno al settore dei rifiuti, del riciclo, del recupero di materiali. Un indotto molto vasto nelle aree più povere del globo, dove lavorano donne, migranti, giovani vulnerabili. Qual è il rischio? Di continuare a perpetuare un modello di sviluppo “eurocentrato”, mancando l’obiettivo di usare l’economia circolare per ridurre le disuguaglianze.
Il rapporto dell’International Labour Organization
Questo, in sintesi, quanto emerge da un recente report dell’International Labour Organization intitolato Decent Work in the Circular Economy: An Overview of the Existing Evidence Base.
Il documento si basa sull’analisi di 425 pubblicazioni scientifiche che indagano la correlazione tra economia circolare e lavoro dignitoso. Date alle stampe tra il 1995 e il 2022, rappresentano una frazione minima, circa l’1,4%, delle oltre 30 mila pubblicazioni accademiche che nello stesso arco temporale hanno studiato la circular economy. Questi numeri già raccontano qualcosa. Ovvero che le dimensioni socio-economiche dell’economia circolare sono ancora poche comprese e studiate rispetto ai suoi benefici ambientali. Del campione analizzato, l’84% riguardava i Paesi del nord del mondo. Solo 11 erano incentrati su economie emergenti, in particolare India, Brasile, Nigeria e Ghana. In pratica, una consistente parte del globo viene sotto rappresentata. Parliamo del nord Africa, dell’Africa sub sahariana, dell’Europa dell’est e del Medio Oriente.
Nel Sud globale, l’economia circolare è soprattutto informale
Un’altra grave carenza di dati riguarda l’economia informale, del tutto marginale come terreno di indagine. Secondo la WIEGO (Women in Informal Employment: Globalizing and Organizing) network globale che ha lo scopo di migliorare le condizioni dei working poor, soprattutto donne, il 61% della popolazione in età da lavoro si guadagna da vivere in ambiti che non sono regolati o protetti da leggi e regolamentazioni. Questa percentuale arriva al 73% nelle nazioni meno sviluppate. Qualche esempio: in Nigeria la stessa ILO stima che siano impiegate 100 mila persone nella raccolta dei RAEE. Mentre in Bangladesh 30 mila operai sarebbero impiegati nel recupero dei metalli dalle petroliere dismesse. Complessivamente nel mondo oltre 11 milioni di persone nelle aree urbane lavorano come waste pickers, raccoglitori di rifiuti. Lavoratori e lavoratrici che in alcune città fanno un lavoro prezioso ma con alti rischi per la salute e l’ambiente in Paesi senza un adeguato sistema di gestione di rifiuti.
L’economia informale assente dalla “circular economy agenda”
La mancanza di dati e di ricerche su questi lavoratori atipici impiegati nei settori del riuso, riparazione, raccolta di rifiuti e riciclo si traduce in un’assenza di visione strategica per un’ampia fetta di mondo. “Mentre l’economia informale costituisce la più grande percentuale dell’economia globale non è sufficientemente considerata nella circular economy agenda”, si legge nel dossier. Gli studi, quindi, oltre a calcolare i nuovi posti di lavoro che i modelli di business circolari possono creare, dovrebbero focalizzarsi sugli interventi per migliorare la qualità dei lavori.
“Il passaggio ad approcci più circolari all’economia richiede politiche che garantiscano che i posti di lavoro creati non siano solo buoni per l’ambiente, ma anche per i lavoratori”. Servono quindi scelte di policy “specifiche e adeguate, nonché ulteriori evidenze scientifiche per comprendere l’impatto dell’economia circolare sui mezzi di sussistenza delle persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo”, scrive Namita Datta, Program Manager per il programma Solutions for Youth Employment Program (S4YE) della Banca mondiale.
Non c’è economia circolare senza progresso sociale
“Il legame tra la circolarità e il progresso sociale ed economico rimane trascurato. Il passaggio a un’economia più circolare offre opportunità significative per il mondo del lavoro, come la creazione di nuovi posti di lavoro e di imprese più sostenibili. Ma per sprigionare pienamente il potenziale di questa nuova economia c’è bisogno di una transizione equa che affronti le attuali condizioni di lavoro”, aggiunge Alette van Leur, direttore del dipartimento per le politiche settoriali dell’ILO.