Da un sondaggio Ipsos emerge l’immagine di un Paese che non ha percezione delle sue eccellenze
Sei italiani su dieci non sanno cosa si intende quando si parla di economia circolare e solo 25 su 100 (erano il 17% 3 anni fa) ne conoscono i principi. Al tempo stesso più della metà ritengono che in Italia l’attenzione all’economia circolare sia al di sotto della media europea.
Sono alcuni dati contenuti nel recente sondaggio Ipsos “Futuro ed Economia Circolare” a cura di Conou, Legambiente, Editoriale Nuova Ecologia. L’analisi, centrata sui temi dell’economia circolare e dell’effetto Nimby, è stata condotta su un campione di poco più di mille persone.
Per quanto riguarda la circolarità, la percezione prevalente nel nostro Paese è negativa, con una sottostima della nostra capacità che non corrisponde ai dati reali. In Italia il riciclo è al 76%, più del doppio della media europea, ma solo il 13% degli intervistati ha correttamente collocato il nostro Paese tra i più virtuosi in Europa.
Anche guardando al riciclo dei singoli materiali, la percezione degli italiani è di essere indietro rispetto all’Europa, mentre in realtà spesso il nostro Paese ha già raggiunto gli obiettivi prefissati al 2025. Ad esempio per quanto riguarda l’acciaio, alluminio, legno e vetro abbiamo già raggiunto gli obiettivi al 2030, per la carta siamo oltre quelli al 2025 con un +5%.
Un altro esempio di sottostima riguarda il trattamento degli oli minerali. Nel nostro Paese infatti quasi la totalità (98,8%) della raccolto di questi oli viene rigenerata, ma lo sa solo il 44% degli italiani. Il 46% del campione non sa dire che fine fa l’olio esausto e il 10% è convinto che venga disperso nell’ambiente.
“L’Italia è un’eccellenza nel campo dell’economia circolare”, dichiara Luca Ruini, presidente Conai. “Siamo primi in Europa per il riciclo pro-capite di rifiuti e secondi, dietro solo alla Germania, in termini di riciclo pro-capite per i rifiuti di imballaggio. E il sistema, nel suo complesso, ha già raggiunto gli obiettivi europei di riciclo al 2025. Certo, il nostro Paese ha ancora diverse sfide da affrontare: penso soprattutto a quella delle regioni del Mezzogiorno, che in molte aree si trovano ancora a soffrire di una preoccupante carenza di impianti per i rifiuti. Se vogliamo riuscire a centrare pienamente gli obiettivi di riciclo che l’Europa ci impone al 2030, dobbiamo colmare quel deficit: un recentissimo studio di Conai mostra, per la prima volta, come al Centro-Sud manchino 165 impianti. È il momento di dialogare con i territori per spiegare l’importanza di questi impianti. Ma anche di aiutarli a dotarsi di competenze professionali adeguate per dare attuazione ai progetti che speriamo le risorse del Pnrr permetteranno di realizzare: secondo le nostre stime, infatti, la realizzazione degli impianti necessari richiederebbe un investimento di oltre due miliardi di euro”.
Anche sulla questione Nimby c’è ancora parecchia strada da fare in termini di informazione e sensibilizzazione. Dal sondaggio emerge che oltre il 51% degli intervistati non sembra essere favorevole ad avere un impianto per il riciclo dei materiali ‘vicino’ alla propria abitazione. Tra le motivazioni spicca per il 55% degli intervistati l’inquinamento dell’aria, per il 33% l’inquinamento dell’acqua e per il 25% quello acustico.