La Second Hand Economy si diffonde sempre più tra gli italiani

E’ arrivato a 23 miliardi di euro il valore dell’economia di seconda mano 

Nel corso del 2020 il 54% degli italiani, 23 milioni di persone, almeno una volta ha comprato o venduto oggetti usati. Un dato che dimostra come la Second Hand Economy – che ha raggiunto un valore pari a 23 miliardi di euro, equivalente all’1,4% del Pil – sia ormai entrata a far parte delle abitudini di consumo nel nostro Paese. 

I dati arrivano dalla settima edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy redatto sulla base di un sondaggio condotto da Bva Doxa per Subito, la piattaforma al primo posto in Italia nella compravendita dell’usato. Motori, prodotti per la casa o la persona ed elettronica sono i settori ai primi posti in termini di valore scambiato, con rispettivamente 10,8 miliardi, 5,6 miliardi e 3,8 miliardi di euro.

Nell’anno dell’emergenza Covid, il 63% di chi nel 2020 ha acquistato o venduto oggetti usati lo ha fatto online, canale privilegiato soprattutto per la sua velocità (47%), ma anche per la possibilità di agire da casa (44%). La compravendita online di oggetti usati nel 2020 ha raggiunto un valore pari a 10,8 miliardi di euro, pari al 46% del totale.

LEGGI ANCHE  Imballaggi, l’Italia vola nel riciclo: più del 70% 

Comportamento sostenibile e circolare 

La Second Hand Economy è il primo gradino nella transizione verso un’economia circolare, consentendo di allungare la vita degli oggetti e quindi di evitare sprechi di risorse e materiali. 

Un modo per molti intervistati per dare valore alle cose (50%), in virtù di una revisione delle proprie priorità e scelte. Comprare o vendere prodotti usati è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più diffusi tra gli italiani (54%), dopo la raccolta differenziata (91%) e l’acquisto di lampadine a LED (62%).

Varie le motivazioni alla base di questo comportamento virtuoso. Tra gli acquirenti scende la percentuale di chi lo fa per risparmiare (50% rispetto al 59% nel 2019), anche se quella economica resta una spinta significativa. Seguono, in crescita rispetto all’anno precedente, le motivazioni legate alla volontà di contribuire all’abbattimento degli sprechi e degli impatti ambientali attraverso il riutilizzo (47%). 

Tra chi vende, se il primo driver resta il desiderio di liberarsi del superfluo (73%), il 39% lo fa perché crede nel riuso ed è contro gli sprechi. Emergono poi nuove motivazioni legate a necessità specifiche nate nel corso del 2020, come l’adattamento degli spazi di casa a dad e smart working e anche al peggioramento della situazione economica famigliare (11%).

LEGGI ANCHE  Economia circolare: Italia ancora leader

Non solo. Il 62% del campione ritiene che a fine utilizzo donerà o rivenderà ulteriormente il prodotto, allontanando così la sua dismissione in discarica e i conseguenti costi ambientali di smaltimento.