Gli impatti del cibo sprecato

Secondo il Rapporto Unep lo spreco alimentare è responsabile del 10% delle emissioni climalteranti 

 

Prodotto,  trasportato, acquistato e buttato via. E’ la fine che fanno ogni anno 930 milioni di tonnellate di alimenti, 74 chili a testa in media nel mondo.  E la maggior parte di questi sprechi (61%) avviene nelle mura domestiche: sono infatti 570 milioni le tonnellate di cibo che finiscono nella pattumiera di casa. Sono alcuni dei dati – riferiti al 2019 – pubblicati dall’Unep nel suo ultimo rapporto UNEP first Food Waste Index. 

Definito una “offesa etica” da António Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite visto che oggi quasi 700 milioni di persone soffrono la fame e tre miliardi seguono una dieta priva di nutrienti fondamentali, lo spreco alimentare produce pesanti impatti sul piano ambientale, sociale ed economico.

Le stime Unep suggeriscono che l’8-10% delle emissioni globali di gas serra vanno associate al cibo prodotto e non consumato. In pratica che se tali emissioni fossero conteggiate come appartenenti a un Paese, questo Paese sarebbe al terzo posto nel mondo per carico emissivo. 

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Inoltre produrre cibo e gettarlo via appesantisce il sistema di gestione dei rifiuti e aggrava il consumo di risorse. Basti pesare che circa 1,4 milioni di ettari di terreno coltivabile vengono utilizzati per produrre alimenti che non verranno mai consumati. In dettaglio il rapporto Unep addebita la maggior parte degli sprechi (61%) ai consumi domestici, il 26% ai servizi di ristorazione e il 13% al retail.  Un dato che fa capire quanto ancora si possa fare per sensibilizzare i consumatori al riguardo. 

A differenza di quanto si possa ritenere – si legge nel rapporto Unep – l’entità degli sprechi non cambia molto tra i Paesi a basso e medio reddito e quelli ad alto reddito. In parte smentendo precedenti  stime che addebitavano gli sprechi di cibo  ai consumatori nei Paesi più ricchi e all’inefficienza di catena distributiva, immagazzinamento e trasporti  in quelli più poveri.