Sulle pagine di Avvenire l’intervista al vicepresidente CEN
“Conosci qualcosa di un fenomeno se puoi misurarlo ed esprimerlo in numeri, altrimenti non puoi dire di conoscerlo”: nella nuova veste di vicepresidente del Circolar Economy Network e fondatore del primo fondo italiano per l’economia circolare, Luca Dal Fabbro, classe 1966, già presidente Snam, si lascia ispirare dal fisico britannico Lord Kevin per chiarire che la transizione ad un eco-sistema circolare compiuto passa inevitabilmente dalla strada della misurabilità dei suoi effetti.
Premessa: in quella che Dal Fabbro indica come economia del futuro, all’interno di una visione olistica, non ci sarà spazio per il consumato cliché dell’inconciliabilità tra sostenibilità e finanza. Anzi, l’integrazione delle due aumenta valore alla resa economica di un investimento, proprio in virtù della logica aperta, partecipativa e paritaria del nuovo modello, teso alla distribuzione più che all’accumulo, al riuso più che al consumo e alla condivisione più che alla produzione. La transizione non si limita all’ambiente: coinvolge, in modo profondo e globale, ogni aspetto del nostro stile di vita, condizionandone anche le posizioni ideologiche: difficilmente nel contesto (ri)generato avrà senso contrapporre liberismo e ambientalismo, capitale e welfare. Ad un patto, però: «Misurare quanto e come i processi circolari incidono sulla sostenibilità è fattore essenziale alla loro implementazione, perché solo dimostrando, numeri alla mano, che i sistemi produttivi ne traggono benefici economici e maggiore resilienza alle crisi, che investitori e gestori di fondi di capitali saranno preparati, formati, per scegliere di allineare la generazione del rendimento con gli investimenti responsabili, partendo dal principio della circolarità: e qui si apriranno infinite praterie», spiega Dal Fabbro.
Per questo il fondo italiano sulla economia circolare CVF, nato da pochi giorni, sarà il primo al mondo a premiare il management non solo in base al profitto generato per i sottoscrittori, ma alla circolarità implementata nelle aziende in cui si è investito?
Esatto. Il fondo sfrutta la matrice di circolarità definita da Enea e Circular Economy Network e riconosciuta dall’Ue come best practice. La complessità nella misurazione degli effetti sta nella varietà dei molti modi per adottare i principi dell’economia circolare. Ad esempio, le case automobilistiche europee devono ora recuperare il 95% del materiale, ai sensi della direttiva sui veicoli fuori uso, mentre in altri ambiti si lavora all’estensione della vita dei prodotti. In altri ancora si passa dalla vendita di prodotti a servizi, così, ad esempio, produttori di illuminazione vendono illuminazione laddove vendevano lampadine, case di carburatori vendono mobilità piuttosto che mezzi. Inoltre, è sempre più sfumato il confine tra business e consumer: con l’avvento della sharing economy, infatti, i privati affittano stanze, o spazi nelle loro auto, su piattaforme come AirBnB e BlaBlaCar. I consumatori stanno persino entrando nel territorio tradizionale dei banchieri con la crescita delcrowdfunding e del prestito peer-to-peer.
La transizione garantirebbe all’economia Ue una crescita di 500 miliardi di euro: il che sfida non solo i canoni tradizionali di fare impresa, ma anche finanza. Come affronta, ad esempio, il mondo finanziario il passaggio dal business del prodotto a quello del servizio, in cui il cliente non effettua un pagamento forfettario per un prodotto nel punto vendita, ma continuano ad effettuarlo per la vita del prodotto?
I flussi di cassa diventano più importanti del valore sottostante di un’attività, i contratti lo diventano più del fare affari, così come l’affidabilità creditizia dei clienti.
Su quali indicatori ambientali si misurerà su scala globale la sostenibilità?
Su 5 indici: diversità biologica, produzione alimentare, temperatura superficiale globale media e concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, popolazione umana e esaurimento delle risorse. Nel sistema di valutazione, oltre a definire input e output di materiali, emissioni ed energie, si prendono in esame fattori contestuali riguardanti le condizioni di lavoro e i parametri di processo. Molto delicata è poi la fase di tester degli strumenti di valutazione, per fornire valori congrui alla misurazione degli indicatori, così come quella successiva di analisi e revisione dei risultati, sulla cui interpretazione vengono rivisti metodi e processi del sistema, così da migliorarne l’affidabilità.
Nello specifico, misurare la circular economy ha tre ragioni di fondo.
Esatto: consente di sviluppare una strategia imprenditoriale che sfrutti al meglio le potenzialità interne, di monitorare i progressi dell’azienda rispetto alle misure chiave, di chiarire, cosa altrimenti impossibile, le prestazioni dell’economia circolare.
A livello Europeo come si stanno valutando i progressi sul cammino della transizione e sulla base di quali indici?
Il quadro di monitoraggio sull’economia circolare predisposto dalla Commissione Europea si compone di dieci indicatori e diversi sottoindicatori, pensati in modo da costruire un sistema agevole e mirato. Si basa sui dati disponibili e, allo stesso tempo, individua le aree in cui sono in fase di sviluppo nuovi indicatori, in particolare, in riferimento agli appalti pubblici verdi e allo spreco alimentare. Circa la metà di essi proviene da Eurostat, i rimanenti sono prodotti dal Centro comune di ricerca e dalla Direzione generale Mercato interno, industria, imprenditorialità e Pmi, mentre l’indicatore sui brevetti proviene dall’Ufficio europeo dei brevetti. Per garantire relazioni coerenti, Eurostat aggiornerà regolarmente il framework di monitoraggio disponibile nella sezione del sito web della Commissione stessa.