di Antonio Ciancillo
Le cronache sottolineano l’urgenza di un cambiamento in direzione dell’economia circolare. L’ultimo segnale viene dal rapporto Beach Litter 2020, l’indagine di Legambiente sui litorali italiani. L’emergenza sanitaria decretata dal coronavirus ha causato l’accumulo sulle spiagge italiane di grandi quantità di guanti e mascherine che si sono aggiunti a cotton fioc, bottiglie, lattine. In Campania – hanno titolato le agenzie di stampa nel dare la notizia – c’è un rifiuto a ogni passo. E nella maggior parte dei casi si tratta di plastica.
Come non era difficile prevedere, il colpo di freno produttivo creato dalla pandemia ha ridotto in maniera solo temporanea le varie forme di emissioni inquinanti. Alcune forme di rifiuti sanitari si sono invece moltiplicate rendendo sempre più evidente come il tema della gestione di ciò di cui vogliamo disfarci non sia risolvibile in un’ottica lineare.
Per fortuna alle direttive europee che vanno nella direzione giusta si sommano iniziative dal basso. In Emilia Romagna un gruppo di piccoli pescatori di Porto Garibaldi, Marina di Ravenna e Cervia hanno aderito a un’operazione che nella seconda metà dell’anno li vedrà impegnati nella rimozione di attrezzi da pesca perduti o abbandonati. In particolare i pescatori di cozze di Marina di Ravenna, recupereranno i rifiuti abbandonati sui fondali, mentre altri si dedicheranno alla gestione dei rifiuti che emergono durante la normale attività di pesca. Anche in Campania, grazie a fondi europei, il progetto Remare ha coinvolto quasi 400 pescherecci e 4 aree marine protette in una vasta zona di mare. In poco meno di quattro mesi sono state raccolte oltre 19 tonnellate di rifiuti dalle acque mediterranee.
Materiali che possono essere riciclati. Lo dimostra un’altra iniziativa, gestita dalla Environmental Justice Foundation, questa volta in Tailandia. Grazie al progetto vengono dati ai pescatori 30 centesimi di euro per chilogrammo di reti recuperate, e con quei materiali vengono confezionati strumenti utili durante la pandemia.
La società di design tailandese Qualy sta acquistando la maggior parte delle reti da pesca raccolte. Le reti vengono lavate prima di inserirle in un trituratore che produce granuli di nylon blu da miscelare con coloranti e sciogliere negli stampi dei prodotti. Sono stati confezionati schermi facciali, flaconi spray per alcol e bastoncini per pulsanti dell’ascensore e bancomat per evitare il contatto. L’operazione di riciclaggio non solo ha prodotto benefici ambientali ma anche utili per le imprese coinvolte.
Calcolando che, secondo i dati delle Nazioni Unite, circa 640.000 tonnellate di reti da pesca finiscono ogni anno negli oceani, c’è un ampio margine di crescita solo in questo settore.