La Ue lancia la sfida del biowaste

Un rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente analizza il potenziale circolare dei rifiuti organici

 

Ottantasei milioni di tonnellate, 173 chili a testa ogni anno: ecco il cibo che ogni cittadino europeo butta nella spazzatura ogni anno. Quasi il 20 per cento di tutti gli alimenti prodotti viene gettato. E siamo 500 milioni di persone, nei 28 Paesi membri dell’UE (l’analisi prende in considerazione la situazione pre Brexit). Questa mole di rifiuti, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, è, o meglio potrebbe essere, un flusso chiave per l’economia circolare.

Nel rapporto intitolato “Rifiuti organici in Europa – trasformare le sfide in opportunità”, l’Agenzia ha analizzato infatti in modo specifico il potenziale di questo flusso di materia, in gran parte composto da rifiuti alimentari e da giardino. Ridurre e utilizzare i rifiuti organici potrebbe consentire di tagliare le emissioni inquinanti, migliorare i suoli e fornire energia.

I rifiuti organici – biowaste – rappresentano infatti la quota più grande (34%) di tutti i rifiuti urbani in Europa e circa il 60% di questi rifiuti organici è costituito da rifiuti alimentari. Riciclare il bio-waste è tra l’altro cruciale per raggiungere uno degli obiettivi che l’UE si è data, ovvero riciclare il 65% dei rifiuti urbani entro il 2035.

LEGGI ANCHE  Imballaggi, l’Italia vola nel riciclo: più del 70% 

Il report rileva inoltre che i benefici derivanti dalla riduzione degli scarti alimentari sono molto maggiori di quelli derivanti dal riciclaggio dei rifiuti alimentari, che resta comunque una strategia necessaria ed importante.
Attualmente, il compostaggio è il modo più diffuso di gestire i rifiuti organici. Cresce però anche la digestione anaerobica, un processo biologico per mezzo del quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica viene trasformata in biogas, che è una fonte di energia rinnovabile.
Ad ogni modo, la quota di rifiuti urbani compostati e lavorati nel 2018 era del 17%, un bel salto in avanti rispetto all’11% del 2004. Ma ancora oggi una rilevante parte dell’organico finisce nell’indifferenziato.

C’è poi un problema di etichette: sempre più prodotti impropriamente definiti come compostabili o biodegradabili finiscono per confondere i consumatori. Rendere più chiare le etichette è dunque necessario per chi compra ma anche per il ciclo del packaging e di tutto ciò che finisce in pattumiera.
Cosa fare, dunque, per mettere a valore il cibo che buttiamo, oltre a cercare di ridurre lo spreco alla fonte? Secondo l’Agenzia europea, “ricerca e sviluppo stanno esplorando sempre di più le opportunità di uso dei rifiuti organici” soprattutto per ciò che concerne la parte alimentare ma molte sfide restano ancora aperte. Toccherà non solo ai consumatori e alle istituzioni ma anche alle aziende accoglierle e farne magari un’opportunità per rilanciare l’economia green dopo la pandemia.

LEGGI ANCHE  Politica energetica: il ruolo essenziale dell'economia circolare