di Antonio Cianciullo
Appena troviamo uno spiraglio di certezza normativa guadagniamo rapidamente posizioni. Il problema è che questi spiragli si stanno chiudendo, soffocati da scelte dettate dalla precarietà dell’attimo. L’analisi emersa dal primo rapporto del Circular Economy Network sullo stato dell’economia circolare in Italia è confermata dallo studio “L’Italia del Riciclo”, promosso e realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da Fise Unicircular.
Prendiamo gli imballaggi. Siamo partiti nel 1998 con il decreto Ronchi che ha impostato il riassetto del comparto chiamando in campo tutti i protagonisti del settore; e ora l’Italia si conferma sul podio aggiudicandosi il bronzo in Europa, con un tasso di riciclo del 67%. Siamo terzi: meglio di noi solo Germania (71%) e Spagna (70%). In 10 anni i rifiuti formati da imballaggi hanno visto crescere del 27% l’avvio a riciclo, passando da 6,7 a 8,5 milioni di tonnellate. E diverse filiere (carta, vetro, plastica, legno, alluminio e acciaio) hanno già superato, o sono a un passo dal farlo, i nuovi obiettivi previsti a livello europeo per il 2025 (65% di riciclo).
Vanno a gonfie vele i comparti che hanno alle spalle una storia consolidata. Ad esempio per gli oli minerali usati siamo ormai vicini al 100% del raccoglibile. E per gli pneumatici fuori uso l’obiettivo nazionale è stato raggiunto: in 10 anni il recupero di materia è passato dal 43% al 58%. Bene anche la frazione organica che è passata dai 3,3 milioni di tonnellate del 2008 agli oltre 6,6 del 2017, con una crescita del 100%.
Ma in altri settori, soprattutto in quelli in cui la necessità di coordinamento si è profilata più recentemente, fatichiamo. E’ il caso dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche): nonostante alcune perfomance brillanti, l’assieme del settore è fermo al 42%, mentre l’obiettivo per il 2019 è il 65%. O delle pile, in cui siamo all’ultimo posto tra le potenze europee. O del reimpiego e riciclo dei veicoli fuori uso, cresciuto di un solo punto percentuale in 10 anni (dall’82% all’83%).
Il panorama complessivo del settore è comunque fondamentalmente positivo. A parità di quantitativi di rifiuti in dieci anni il recupero è aumentato e le 1.200 imprese dell’industria del riciclo hanno trattato 18 milioni di tonnellate di rifiuti di carta, vetro, plastica, legno, gomma e organico; dal riciclo di questi rifiuti sono saltate fuori 12 milioni di tonnellate di materie prime seconde a disposizione dell’industria nazionale.
Ma sarebbe pericoloso ignorare i campanelli d’allarme che continuano a suonare. Ad esempio se sulla frontiera dell’End of Waste, cioè della normativa che permette di adeguarsi alla sempre più veloce evoluzione della tecnologia, l’Italia continuasse ad arrancare mentre i concorrenti aumentano il passo, i margini di competitività del sistema Italia diminuirebbero rapidamente. La scommessa è puntare sulla qualità e sulla rapida creazione di un moderno sistema di trattamento dei rifiuti orientato in direzione dell’economia circolare. Ignorare questa necessità ci costerebbe un prezzo pesante in termini di crescita dell’inquinamento e della disoccupazione.