Prima di arrivare sugli scaffali si perde il 14% del cibo prodotto. Frutta e verdura sono tra gli alimenti più sprecati in fase di raccolta, stoccaggio e trasporto.
Ancor prima di arrivare sugli scaffali per essere venduto, si perde il 14% del cibo prodotto. A tanto – secondo il Rapporto Fao “Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2019” – arriva la quantità di cibo che a livello mondiale va perso o sprecato in fase di raccolta, stoccaggio e trasporto. Ovvero nelle fasi della filiera alimentare precedenti la vendita al dettaglio.
Se il 14% rappresenta la percentuale media globale, il valore delle perdite alimentari varia considerevolmente da una regione all’altra del pianeta, anche considerando i medesimi alimenti e le medesime fasi della filiera di approvvigionamento. La maglia nera va all’Asia centrale e meridionale, area dove il cibo perso prima di arrivare alla vendita sale al 20%. Ma non va troppo meglio in Europa e nord America dove si supera il 15%.
L’Italia è in linea con questa percentuale. Secondo gli ultimi dati forniti da Last Minute Market, nel nostro paese – dove il 70% dello spreco alimentare avviene nelle case –– le perdite in campo, cioè il cibo non raccolto, arrivano al 3%. In pratica 1 milione di tonnellate di alimenti vengono lasciate sui campi, cui vanno aggiunte altre 4 tonnellate perse in fase di distribuzione.
Frutta e verdura sono gli alimenti in testa alla classifica mondiale delle perdite alimentari. Tali perdite nei Paesi a basso reddito sono dovute soprattutto a carenze infrastrutturali che facilitano il deperimento del cibo: stoccaggio in strutture inadeguate, magazzini frigoriferi poco efficienti.
Nei Paesi ad alto reddito, invece, dove sono disponibili adeguate strutture di conservazione e stoccaggio e magazzini frigoriferi, le perdite avvengono generalmente a causa di un’errata gestione delle temperature, dell’umidità, di un eccesso di scorte o di guasti tecnici.
Altro punto importante sottolineato nel rapporto riguarda la fase di vendita al dettaglio e di consumo: l’invito in questo caso va ai consumatori che spesso scartano prodotti ritenuti non soddisfacenti per standard puramente estetici o perché troppo vicini alla data di scadenza.
Il rapporto sottolinea anche la necessità di monitorare con attenzione le perdite in ogni fase della filiera alimentare, proponendo una nuova metodologia per individuare i punti critici su cui intervenire. Per cambiare davvero le cose occorre però – afferma il rapporto – affrontare le cause profonde che sono all’origine degli sprechi.
La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari comporta generalmente dei costi: agricoltori, fornitori e consumatori adotteranno le misure necessarie solo se tali costi saranno compensati dai benefici. Pertanto, occorre modificare gli incentivi per le varie parti interessate alla filiera di approvvigionamento. Individuando opzioni che aumentino i vantaggi. Senza aiuti finanziari “gli attori del settore privato nei Paesi in via di sviluppo, in particolare i piccoli proprietari, potrebbero non essere in grado di sostenere gli alti costi iniziali previsti dall’implementazione degli interventi”.