Ogni anno in Italia 57 milioni di tonnellate di rifiuti inerti da costruzione e demolizione finiscono in discarica. Rappresentano il 41% di tutti i rifiuti speciali prodotti ogni anno nel nostro Paese, senza contare che ad essi vanno aggiunti i quantitativi non tracciati, illegalmente dispersi nel territorio. Una quantità enorme di materiali che in buona parte potrebbero essere riciclati evitando così il consumo di materie vergini.
All’origine di questa situazione paradossale la mancanza di una normativa End of waste che indichi quando questi rifiuti possono tornare a essere un prodotto e quindi venire introdotti sul mercato. Per mettere fine a tutto ciò alcune associazioni di categoria (Cna, Confartigianato imprese, Federbeton con Atecap, Fise Unicircular, Anpar, Legacoop produzione e servizi) si sono rivolte direttamente al ministro dell’Ambiente. Obiettivo: arrivare alla redazione di un nuovo testo di regolamento End of waste per i rifiuti inerti che preveda analisi e verifiche assolutamente rigorose, ma costruite a misura degli scopi specifici ai quali “la sostanza o l’oggetto è destinato”, conciliando criteri ambientali, nel rispetto delle norme in materia, e criteri tecnico industriali, che derivano dalle norme tecniche armonizzate europee e dall’esperienza operativa delle imprese.
Negli ultimi 6 anni dal ministero sono infatti arrivati solo due decreti End of waste, mentre 16 sono ancora in lavorazione; tra questi anche quello per i rifiuti inerti. Non solo. Per quanto riguarda i rifiuti da costruzione e demolizione dopo oltre due anni di confronto con il ministero e l’Ispra – precisa il presidente Anpar Paolo Barberi – la bozza messa a punto non contiene alcun elemento di innovazione, in quanto riproduce gli stessi limiti operativi e concettuali di 20 anni fa.
Invece stabilire regole chiare attraverso cui valorizzare pienamente questi materiali nelle costruzioni rappresenta un passo importante per l’economia di un settore che negli ultimi anni ha perso più di 500.000 posti di lavoro, e può trovare una importante leva di ripresa proprio nell’economia circolare.
“Il settore del calcestruzzo può dare un prezioso contributo a tutto ciò, grazie all’impiego di aggregati da riciclo in sostituzione di quelli naturali. Abbiamo stimato che su una produzione attuale di circa 27 milioni di metri cubi di calcestruzzo si potrebbe ottenere un risparmio di aggregati naturali di 15 milioni di tonnellate, cioè un mancato conferimento in discarica di scarti delle costruzioni pari a circa il 10% del totale di rifiuti speciali generati in Italia”, spiega il presidente dell’Atecap Andrea Bolondi.
Non solo: “L’impiego nella produzione di calcestruzzi non è che un esempio dei molteplici usi degli aggregati che si possono ottenere dal riciclo dei 57 milioni di tonnellate di rifiuti inerti (tracciati) generati ogni anno nel nostro Paese”, continua Barberi. “In questo momento le aziende di tutta la filiera si trovano in una situazione paradossale, tra l’incudine e il martello: da una parte prigioniere di norme statali per il riciclo vecchissime e ormai superate che il ministero non adegua al progresso tecnologico e ai nuovi usi tecnici e commerciali; dall’altra impossibilitate a richiedere che questo adeguamento possa essere autorizzato dalle Regioni con provvedimenti per i singoli impianti, a causa delle norme inserite nello Sblocca cantieri che hanno tolto questa competenza alle Regioni per demandarla allo Stato”.