Bioplastiche sotto attacco

Per valutare correttamente i fenomeni che osservano, gli scienziati fissano parametri e valori di riferimento. Ma non sempre: una recente ricerca condotta dall’Università di Pisa e pubblicata su Ecological Indicators ha deciso di farne a meno.

Lo studio ha esaminato l’impatto sulla germinazione delle piante prodotto dagli shopper non-biodegradabili e quello da shopper biodegradabili e compostabili. La conclusione degli studiosi è che anche le buste compostabili hanno impatti negativi sulla germinazione delle piante: in seguito all’esposizione agli agenti atmosferici e alle precipitazioni, secondo la ricerca, si producono sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi, causando ritardi nella crescita delle piante e danneggiando soprattutto le radici. Esattamente come succede con le buste non compostabili, quasi suggerendo la conclusione che – in fin dei conti – usare buste compostabili o no causa all’ambiente danni comparabili.

Ma quello che stupisce nella ricerca toscana – obietta  Novamont, l’azienda produttrice di Mater-bi, il materiale con cui sono prodotti gran parte dei sacchetti compostabili – è l’assenza di parametri di riferimento che permettano una corretta valutazione dei risultati ottenuti e una validazione scientifica delle metodologie adottate: “Peccato che le metodologie adottate per arrivare a queste conclusioni non siano validate. Sono esperimenti una tantum, di cui non è stata determinata la sensibilità, la riproducibilità, l’affidabilità e soprattutto non è dato il quadro di riferimento, necessario per interpretare i risultati”.

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Per valutare il dato manca all’appello un’informazione indispensabile: l’effetto delle sostanze di riferimento. “E’ come la lancetta di un apparecchio di misurazione senza la scala, un tachimetro senza numeri”, continua la nota di Novamont. “Cosa succede se il sistema pisano viene applicato ad altre sostanze, ad altri tipi di materiale, a sacchi ed imballaggi di differente natura? Soprattutto, cosa succede se il sistema viene applicato a sostanze naturali, tipo foglie o altri tessuti vegetali?”

Un altro punto contestato riguarda la situazione ipotizzata nello studio, considerata da Novamont irrealistica. E’ normale mettere 8 sacchi in un solo litro d’acqua, oppure questa dose – usata dai ricercatori di Pisa – è un po’ come voler dimostrare che l’aspirina uccide somministrando ad un paziente 100 compresse tutte insieme?

“Ci spiace dover continuamente replicare ad accuse pretestuose, frutto di metodologie quanto meno discutibili, di fronte alle quali ci vediamo ogni volta costretti a ribadire che le bioplastiche sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale”, ha aggiunto commentando lo studio pisano Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. “Le bioplastiche non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali. Ci chiediamo come mai analoghi studi non vengano effettuati su altri materiali, molto più diffusi, e quali obiettivi si intenda perseguire con iniziative di questo tipo”.

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