La bioeconomia fa da motore all’Italia

di Antonio Cianciullo

Una buona notizia: sono rare, ma alle volte arrivano. E questa ha un doppio risvolto perché offre un beneficio immediato e costituisce un indicatore di apertura culturale. E’ nato l’Istituto di bioeconomia del Cnr, un’operazione scaturita dalla fusione dell’Istituto di biometeorologia (Cnr-Ibimet) con l’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (Cnr-Ivalsa).

Il vantaggio immediato è dunque la creazione di un polo di ricerca qualificato che – come precisa un comunicato del Cnr – mira “alla valorizzazione di un settore strategico per il futuro, in cui si registra un crescente livello di investimenti nazionali ed europei. Le competenze e le linee di ricerca dell’Istituto di bioeconomia abbracciano varie attività nello sviluppo di soluzioni per valorizzare la biodiversità e per rafforzare processi di resilienza, sostenibilità, efficienza e capacità di mitigazione e adattamento ai cambiamenti globali nelle filiere della produzione primaria (agricoltura, foreste, pesca) e della foresta-legno, ma anche dell’industria chimica, delle biotecnologie, dell’energia, manifatturiero ed edile, utilizzando bio-risorse rinnovabili per produrre cibo, materiali ed energia”.

Da queste righe traspare la seconda valenza positiva di questa decisione. Il sistema istituzionale e accademico italiano, piuttosto lento nel suo adattamento a una realtà in veloce evoluzione, fa una mossa nella direzione giusta. Coglie non solo l’importanza di un settore strategico dell’economia circolare, ma anche le modalità necessarie al suo sviluppo: mix di discipline, incrocio di saperi, fusione di competenze.

Il mondo che ci sta attorno funziona sempre meno secondo il modello meccanico della prima rivoluzione industriale e sempre più attraverso un assieme di approcci culturali e scientifici che ci portano verso una società in cui biologico e non biologico sono strettamente interconnessi. Una società che comincia a provare a imitare la complessità della natura invece di pretendere di insegnarle cosa è bene e cosa è male.

E’ una strada di sviluppo che incontra molte resistenze ma i trend dominanti stanno chiarendo la direzione di marcia. La bioeconomia – sempre secondo i dati del Cnr – è un settore in crescita per investimenti: 10 miliardi di euro per il prossimo Programma Quadro Ue 2021-2027 rispetto ai 3,85 miliardi del 2014-2020. In Europa garantisce circa 2.300 miliardi di euro annui e oltre 18 milioni di posti di lavoro (circa il 10% dell’occupazione e del fatturato). In Italia assicura quasi due milioni di posti e circa 330 miliardi di fatturato dei quali 52 relativi alla produzione agricola, con 800 mila occupati, e 140 alla produzione industriale alimentare, con quasi 400 mila occupati. L’Italia è la terza nazione del settore in Europa, dopo Germania e Francia, e la seconda come presenza nei progetti europei su Bioeconomy-Food e Blue Growth.