È molto stretto il rapporto tra clima e consumo dei materiali. Già oggi infatti più del 50% di tutte le emissioni di gas serra è legato all’estrazione delle materie prime, alla loro lavorazione e alla produzione di beni. Emissioni che sono destinate a salire in assenza di un deciso cambio di rotta visto che, secondo le stime dell’Unep – United Nations Environment Programme, nel 2050 il consumo di materiali sarà pari a 180 miliardi di tonnellate l’anno, 8 volte rispetto al 1970, quasi il doppio rispetto al livello attuale (94 miliardi di tonnellate).
Un quantità impossibile da sostenere non solo in termini di consumo di risorse e di produzione di rifiuti, ma anche di inquinamento ambientale e di cambiamenti climatici legati alle emissioni prodotte. Una prima valutazione l’ha presentata l’Oecd – Organization for Economic Co-operation and Development nel Global Material Resources Outlook secondo cui nel 2060 le emissioni di CO2 legate al flusso delle materie prime arriveranno a 50 giga-tonnellate.
Applicare i principi dell’economia circolare – riuso, riciclo, rigenerazione – potrebbe ridurre drasticamente le emissioni e produrre significativi progressi nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il rapporto “Re-defining Value – The Manufacturing Revolution. Remanufacturing, Refurbishment, Repair and Direct Reuse” presentato al World Circular Economy Forum 2018 la transizione a un sistema produttivo circolare consentirebbe non solo di risparmiare materia prima e contenere la produzione di rifiuti, ma anche di ridurre le emissioni di gas serra, fino al 99% in alcuni settori industriali.
Ad esempio riutilizzare alluminio, acciaio e plastica – secondo lo studio “Climate Benefits of MaterialRecycling” riferito ai sistemi produttivi di alcune economie nordeuropee (Danimarca, Norvegia, Svezia) – consentirebbe di ridurre le emissioni del 96% per la produzione di alluminio, dell’86% per l’acciaio, del 37% per plastica e carta e del 41% per il vetro.