di Stefano Leoni
L’economia circolare è una notevole occasione di sviluppo per il nostro Paese. Una maggiore efficienza nell’uso delle risorse renderebbe maggiormente competitiva la nostra economia anche nei mercati esteri, aumentando allo stesso tempo l’occupazione e la sostenibilità sociale. È questo uno dei punti emersi nell’incontro seminariale sulla responsabilità estesa del produttore (EPR) e sugli strumenti economici da adottare per promuovere l’economia circolare in Italia. Hanno partecipato all’evento alcuni degli esperti incaricati per il recepimento delle nuove direttive sui rifiuti e i promotori e aderenti al Circular Economy Network
Ma a tale percezione si accompagnano anche timori. Come quello di vedere incrementare i costi a carico del comparto produttivo, senza peraltro essere compensati da una diminuzione di quelli pubblici. Occorre, quindi, avere un approccio olistico per riuscire a calcolare dove tali costi possono diminuire e dove è atteso un loro aumento. In particolare, l’incremento degli obiettivi di riciclo e l’obbligo di perseguire l’efficienza economica nella gestione dei rifiuti urbani dovrebbero far diminuire il peso della tariffa/tassa comunale, spostando una parte dei costi in ambiti gestiti dai produttori.
Aumentare la competitività del nostro Paese
Una riforma che facesse solo lievitare i costi vanificherebbe il vantaggio competitivo e, quindi, anche la maggiore sostenibilità sociale. Non basta dunque considerare esclusivamente gli oneri economici diretti – tasse, costi di raccolta e trattamento dei rifiuti, investimenti. –, ma anche e soprattutto quelli indiretti. Quindi, eliminare i compiti superflui a carico dei produttori, sostenere l’utilizzo del materiale riciclato, introdurre una disciplina dell’end of waste capace di stare al passo con l’avanzamento tecnologico, assicurare l’infrastrutturazione del territorio per il trattamento delle diverse tipologie di rifiuti, annullare i divari di performance tra le regioni. Ed evitare riforme radicali basate su preconcetti.
Quest’ultimo punto è uno dei timori più condivisi. Prima di intervenire sull’attuale disciplina di gestione dei rifiuti devono essere individuati sia i punti di forza del “sistema Italia”, sia le criticità. I primi devono rappresentare le basi della futura disciplina, le seconde devono essere analizzate per comprenderne le cause e quindi indirizzare verso le soluzioni.
Tutti ammettono – e il rapporto presentato il 1 marzo dal CEN lo conferma – che l’Italia è all’avanguardia nell’economia circolare e questo non è solo frutto del caso, ma soprattutto merito dell’azione svolta da alcuni attori che da molti anni operano nel mercato. Non è, quindi, necessaria una riscrittura della disciplina, bensì è ragionevole una “manutenzione normativa” finalizzata innanzitutto a raggiungere gli obiettivi richiesti dalle direttive europee. Obiettivi che sono nella traiettoria dell’attuale crescita della circolarità in Italia. Ma che potrebbero essere mancati, se si pensasse di ripartire azzerando l’attuale assetto.
Differenziare i modelli di intervento
I nostri sistemi consortili – in particolare per gli imballaggi e per i Raee, ma anche nel settore degli pneumatici, degli oli e grassi, anche quelli minerali – rappresentano realtà concrete che ci permettono di porre l’Italia ai vertici delle performance sulla circolarità. Sono, quindi, un punto di forza. Azzerare tutto è una mossa azzardata i cui esiti non sarebbero necessariamente positivi. Questo non significa che il loro inquadramento, in conformità alle nuove regole EPR, deve partire dalla consapevolezza che non esiste un modello valido per tutte le categorie di prodotto. Ma che piuttosto è preferibile la diversità.
Una particolare attenzione va rivolta alla responsabilità. Non potrà essere più essere accettato un regime EPR che non disponga la responsabilità almeno finanziaria dei produttori, come ad esempio oggi accade nel comparto delle auto. Oppure, una distribuzione dei compiti che non preveda anche una responsabilità delle amministrazioni capace di garantire un livello minimo di servizio di gestione dei rifiuti. O, altrettanto importante, la capacità di strutturare e alimentare filiere del riciclo di elevata qualità, contrastando al contempo mercati sommersi e/o a scarsa professionalità.
La responsabilità verso l’ambiente e il mercato
In questo quadro dobbiamo essere consapevoli che i regimi EPR devono perseguire primariamente il raggiungimento degli obiettivi ambientali e devono essere strutturati per questo fine. Anteporre alla finalità ambientale altri principi significa tradire lo spirito della norma. Non bisogna dimenticare, infatti, che i regimi EPR vengono introdotti per “turbare” un mercato che evidentemente di suo non è sostenibile. Quindi è sbagliato pensare che la piena concorrenza, l’incondizionabilità del mercato o la libera scelta del consumatore possano essere principi posposti al perseguimento degli obiettivi ambientali.
Anche in questa logica dovrebbero essere strutturati gli organi di governo, di vigilanza e di autodisciplina dei sistemi EPR, tenendo conto oltre che degli obiettivi ambientali anche delle peculiarità del comparto produttivo e della necessità di procedere attraverso la condivisione delle scelte e delle politiche tra tutti gli operatori – produttori, gestori dei rifiuti, amministrazioni e consumatori – interessati.
Infine, un ulteriore spunto di riflessione ha riguardato l’ecoinnovazione e la prevenzione. In questi ambiti occorrono politiche di sostegno. L’Italia dovrebbe impegnarsi maggiormente attivando politiche fiscali mirate, la diffusione della conoscenza e delle buone pratiche, procedimenti amministrativi di incoraggiamento e il monitoraggio della loro efficacia.