Il recupero obbligatorio della frazione organica dei rifiuti è uno dei nuovi obiettivi fissati dal pacchetto sull’economia circolare approvato la scorsa estate dall’Unione europea.
di Antonio Cianciullo
È un passo importante, che accelererà un processo già in corso in Italia. Negli ultimi anni, grazie anche al lavoro di sensibilizzazione del circuito nato da Last Minute Market e dalla campagna Spreco Zero sostenuta dal ministero dell’Ambiente, l’attenzione attorno a questi temi è molto cresciuta. Ridurre il cibo che buttiamo nella spazzatura è però necessario, ma non sufficiente. Per abbattere gli sprechi occorre cogliere i vari aspetti del meccanismo perverso che alimenta lo sperpero non solo di cibo, ma anche di terra, di energia, di acqua, di giustizia.
Cioè riflettere anche sull’agricoltura intensiva, che è diventata una macchina industriale centralizzata, ad alto impatto ambientale. Produce infatti un decimo dei gas serra (se si calcolano gli allevamenti il conto sale molto) ed è un fattore determinante nella perdita di biodiversità, nell’erosione del suolo, nello stravolgimento del ciclo idrico.
Le prospettive
Ma non si tratta solo di registrare i danni presenti. Per nutrire i dieci miliardi di persone che graveranno sul bilancio del pianeta nella seconda metà del secolo, c’è chi propone di rendere ancora più industriale e centralizzato il meccanismo di produzione agricolo. Cioè di restare all’interno della logica lineare che nel corso del ventesimo secolo ha visto un’impennata delle risorse non rinnovabili iniettate nel circuito agricolo per far salire i fatturati a spese della ricchezza e della fertilità della terra.
Di fronte a questi rischi, la Fao – nel suo ultimo rapporto, The State of the World’s Biodiversity for Food and Agricolture – propone un’alternativa basata sulla revisione della logica d’assieme del sistema agricolo. Il primo punto a essere messo in discussione è lo spreco. Un terzo di tutti i prodotti alimentari a livello mondiale (1,3 miliardi di tonnellate) viene perduto ogni anno lungo la catena di approvvigionamento. Nella spazzatura buttiamo così cibi per un valore di 2.600 miliardi di dollari e i 3,3 miliardi di tonnellate equivalenti di anidride carbonica (il 7% delle emissioni globali di gas serra) che sono serviti a innaffiarli di fertilizzanti e pesticidi, produrli, confezionarli, trasportali, refrigerarli, conservarli. Se fosse una nazione, lo spreco figurerebbe al terzo posto nel mondo, dopo Cina e Stati Uniti, per livello di emissioni serra.
Un costo molto alto non solo in termini economici e ambientali ma anche sociali. La Banca mondiale ha stimato che nell’Africa sub-sahariana una riduzione dell’1% delle perdite dopo la raccolta potrebbe portare a un guadagno di 40 milioni di dollari ogni anno; la maggior parte dei benefici andrebbe direttamente ai piccoli agricoltori locali.
C’è poi un’altra forma di spreco – osservano alcuni studiosi – che confina con l’autolesionismo: la sovralimentazione (spesso basata su cibi industriali pieni di grassi insalubri, sali, zuccheri: ben pubblicizzati ma mal digeribili). Un problema che sta causando un’epidemia di obesità e diabete. Anche in questo caso con un impatto economico importante: circa 2.000 miliardi di dollari, pari al 2,8% del Prodotto interno lordo globale, per l’obesità. È un costo simile all’effetto del fumo, delle guerre, del terrorismo e della violenza armata.
Ridurre la scala
Tra le alternative suggerite dalla Fao per riportare l’agricoltura nei binari della sostenibilità c’è l’agricoltura di piccola scala; una produzione almeno del 50% degli alimenti totali usando solo il 25% dei terreni agricoli. Alcuni studi dimostrano che le filiere corte, biologiche, locali, consentono di ridurre gli sprechi preconsumo fino al 5% rispetto al 40% dei sistemi agroindustriali; chi si rifornisce solo in reti alimentari alternative spreca un decimo rispetto a chi usa solo canali convenzionali; i sistemi di agricoltura supportata da comunità riducono gli sprechi al 7% contro il 55% dei sistemi di grande distribuzione.
Altri suggerimenti, per prevenire la creazione di eccedenze, sono: l’educazione alimentare e la crescita della consapevolezza; il supporto a reti alimentari locali, solidali, di piccola scala ed ecologiche; la tutela dell’agricoltura contadina e dell’accesso alla terra; l’agroecologia e la tutela dell’agrobiodiversità; l’agricoltura sociale, urbana e delle aree interne; il contrasto agli illeciti; il sostegno alle attività di ricerca.
Il quadro di una riconversione circolare dell’agricoltura si chiude con l’utilizzo di forme di compostaggio e di recupero degli scarti da utilizzare sia come materia (in edilizia, in arredamento, nei settori alimentare, tessile e chimico) sia sotto forma di energia. La Fao cita anche le esperienze raccontate da Gunter Pauli, il creatore della Fondazione Zeri (Zero Emissions Research & Initiatives). Ad esempio i residui di frutta, verdura e caffè utilizzati per la coltivazione di funghi.