Oggi complessivamente consumiamo ogni anno 79 miliardi di tonnellate di materie prime (ultimo dato disponibile, riferito al 2011). Nel 2060 potremmo raddoppiare e arrivare a 167 Gt. Come dire che oggi ogni abitante del pianeta consuma 33 chilo di materiali al giorno, mentre ognuno dei 10 miliardi di esseri umani che vivranno nel 2060 ne consumerà 45.
A lanciare l’allarme sull’insostenibilità di queste previsioni sulle materie prime è l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel rapporto “Global Material Resources Outlook to 2060. Economic drivers and environmental consequences” che, oltre ad analizzare i driver economici che porteranno all’incremento dei consumi dei materiali naturali (metallici, non metallici, fossili, biomassa), mette in guardia sui conseguenti impatti ambientali e sugli altri effetti negativi che ne verranno.
A determinare l’incremento – precisa l’OCSE – saranno
- l’aumento demografico (nel 2060 saremo 10 miliardi di persone)
- la crescita economica
- il miglioramento delle condizioni di vita,
- l’aumento di reddito
È chiaro che senza azioni concrete per contrastare questi trend. Il maggior consumo di materie prime (biomassa, combustibili fossili, metalli e minerali non metallici) e le attività legate alla loro estrazione e lavorazione non potranno che peggiorare i livelli di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e contribuire in modo significativo al cambiamento climatico .
Ovviamente l’incremento dei consumi non avverrà per tutti i materiali nello stesso modo. I maggiori aumenti si registreranno nel campo dei minerali , metallici e non. Nel caso dei materiali non metallici (soprattutto materiali da costruzione come sabbia, ghiaia, pietra calcarea) sarà soprattutto lo sviluppo edilizio dei Paesi in via di sviluppo (non la Cina che al 2060 mostrerà una certa saturazione) a causare il raddoppio dei consumi che passeranno da 35 Gt a 82 Gt all’anno.
Non è tutto perduto
La buona notizia è però rappresentata dal fatto che si registrerà un relativo disaccoppiamento tra consumo dei materiali e crescita del Pil. Questo grazie agli effetti mitigatori della terziarizzazione dell’economia e alla maggiore efficienza produttiva che ha ridotto la quantità di risorse consumate per unità di Pil. Se così non fosse, infatti, il consumo di materiali sarebbe parecchio superiore, arrivando a 350 Gt nel 2060.
Una seconda buona notizia è che negli anni il riciclo dei materiali diventerà maggiormente competitivo in termini economici rispetto all’estrazione delle materie prime, grazie per esempio alle innovazioni tecnologiche che interverranno nei processi produttivi.
Per quanto riguarda gli impatti sull’ambiente, il Rapporto precisa che attualmente la gestione dei materiali naturali (provenienti dal settore agricolo, energetico, industriale) è già oggi responsabile di una gran parte delle emissioni di gas serra. Infatti secondo le stime nel 2060 delle 75 Gt di CO2 prodotte, 50 Gt saranno legate appunto ai materiali.
Ma non ci sono solo le emissioni. L’estrazione e produzione dei materiali da costruzione (calcestruzzo, sabbia e ghiaia) e di alcuni metalli (ferro, alluminio, rame, zinco, piombo, nichel e manganese) mostrano impatti significativi in aree quali:
- l’acidificazione
- l’inquinamento atmosferico e idrico
- i cambiamenti climatici
- la domanda di energia
- la salute umana
- la tossicità dell’acqua e della terra.
In questo settore rame e nichel tendono ad avere i maggiori impatti ambientali per chilo, mentre il ferro, l’acciaio e il calcestruzzo hanno i più alti impatti assoluti a causa dei grandi volumi utilizzati.