È difficile pensare alla lana come a un rifiuto. Eppure accade in Italia, dove ogni anno 8.700 tonnellate di lana – e il dato è sottostimato – finiscono in discarica, disperse in ambiente, sotterrate o bruciate.
Si tratta di fibra di bassa qualità, lana sucida ovvero sporca e grezza, proveniente dalla tosatura di 7 milioni di pecore italiane. Un materiale rustico, poco appetibile per il mercato del tessile e dell’abbigliamento, specie se confrontato con le fibre finissime e pregiate provenienti da Australia e Argentina.
In realtà da queste quasi 9.000 tonnellate di lana buttata via (12.000 secondo altre stime), si possono ricavare più 5.000 tonnellate di fibra. Dal riutilizzo si possono ricavare qualcosa come 15 milioni di metri quadri di tessuto, dando vita a una filiera sostenibile e circolare. Tanto più che recenti sperimentazioni hanno dimostrato che è possibile migliorare le caratteristiche della lana italiana rendendola più morbida.
Lo studio ISPRA
A dirlo è il Dipartimento per il monitoraggio e la tutela dell’ambiente e per la conservazione della biodiversità dell’ISPRA che assieme a Donne in Campo della CIA-Confederazione Italiana Agricoltori. Lo studio analizza la produzione eco-compatibile di fibra da fonti naturali e/o di recupero, filati da tessitura artigianale, tintura naturale e confezioni con materiali e metodi compatibili con l’ambiente. L’indagine “Filare, tessere, colorare, creare. Storie di sostenibilità, passione ed eccellenza”) riporta numerose esperienze concrete di economia circolare e sostenibilità. Non progetti da realizzare, ma realtà attive sul territorio.
Come appunto quella di un Consorzio no-profit di Biella The Wool Company che già oggi riesce a raccogliere da circa 400 allevatori più di 150 tonnellate l’anno di lana sucida, anche in piccole quantità. Ripulita e selezionata per qualità viene venduta all’industria tessile oppure trasformata in prodotti personalizzabili come giacche, mantelle, plaid, maglioni, sciarpe, tessuti. E l’obiettivo del consorzio è di ampliare la rete per la raccolta e la lavorazione della lana grezza non solo all’intera penisola, ma anche all’estero.
Il vantaggio per gli allevatori è duplice ma non ancora totalmente soddisfacente. Vendendola recuperano a malapena i costi della tosatura (50 centesimi al chilo) con una produzione di 1,5 chili di lana per pecora. Ma evitano i costi di smaltimento che – in quanto rifiuto speciale – sono piuttosto onerosi.