Bioeconomy integrata all’economia circolare, la nuova sfida UE

“L’economia circolare e la bioeconomy partner in sostenibilità”. È un titolo molto chiaro quello del rapporto che l’Agenzia europea dell’ambiente ha appena reso noto. L’analisi contiene alcuni dati interessanti, ma l’aspetto centrale è quello strategico: l’invito a ripensare le politiche europee nell’ambito della green economy come un assieme omogeneo.

Solo in questo modo – si sottolinea – è possibile ricavare i massimi benefici dalle direttive già approvate e da quelle in itinere. “Vi sono chiari collegamenti tra il Economia circolare Action Plan del 2015, il Pacchetto sull’economia circolare del 2018 e la Strategia sulla bioeconomy del 2012. Hanno tutti spreco alimentare, biomassa e prodotti biobased come aree di intervento. Inoltre hanno in comune concetti come l’approccio a catena, la sostenibilità, le bioraffinerie, l’efficienza nell’uso delle risorse, il riuso a cascata della biomassa, il ripensamento dell’idea di consumo, la dimensione globale”.

A fronte dei vantaggi che si potrebbero ottenere in caso di successo dell’integrazione tra le varie politiche sui diversi approcci green, ci sono i rischi derivanti da un eventuale fallimento. Un’azione frammentata esaspererebbe i limiti presenti. Ad esempio “la strategia sulla bioeconomy presta poca attenzione alla progettazione per la riparazione, il riutilizzo, il riciclo e la prevenzione dello spreco. Inoltre, forme innovative di consumo (economia collaborativa, la combinazione di vari prodotti di servizio) ricevono poca considerazione. E infine la gestione dei rifiuti è sì indirizzata dalla cosiddetta ‘gerarchia dei rifiuti’, ma non in termini di alta qualità della raccolta, della classificazione e del riciclo”.

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Le nuove frontiere della bioeconomy

Siamo insomma di fronte a un passaggio delicato che può portare a conseguenze importanti su vari fronti. Ad esempio sostanze chimiche sono oggi utilizzate in prodotti a base biologica e il loro uso può porre sfide agli obiettivi di circolarità, ostacolando la creazione di cicli di biomateriali puliti. D’altra parte, l’uso di materiali a base biologica potrebbe invece stimolare una riduzione generale dell’uso di sostanze pericolose.

Si tratta di una partita fondamentale perché le grandezze in gioco sono importanti. La bioeconomy nel 2014 rappresentava il 9% del totale dell’economia e più del 25% dei flussi di materiali (l’agricoltura pesa per il 63% della biomassa movimentata, la silvicoltura per il 36% e la pesca per meno dell’1%). Sempre nel 2014 si calcola che per ogni cittadino europeo vengano estratte 11,5 tonnellate di materiali e altre 3 tonnellate importate. Materiali che alla fine del ciclo di vita vanno ancora in percentuale troppo alta in discarica: nel 2012, 2,2 tonnellate a testa per ogni europeo (a fronte di 0,3 tonnellate destinate all’incenerimento).

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Tra 118 e 138 milioni di tonnellate di rifiuti biodegradabili sono generati ogni anno. Di questi circa 100 milioni di tonnellate sono rifiuti alimentari: un quarto viene raccolto e riciclato.

Per quanto riguarda il settore della produzione di bioplastiche, alcune sono biodegradabili, molte no (la previsione è meno del 20% al 2019). E la loro produzione è ancora bassa, inferiore all’1%.

Tra le innovazioni e le strategie più promettenti indicate dal rapporto troviamo:

  • le bioraffinerie;
  • la stampa in 3D con bioplastiche;
  • le colture multiuso;
  • la valorizzazione dei residui e dei rifiuti alimentari;
  • il trattamento dei rifiuti biodegradabili.

 

Il rapporto e altri documenti si possono trovare all’interno della sezione dedicata del nostro sito.