Il 14% del Pil dell’Unione europea è mosso dalla spesa delle amministrazioni pubbliche per opere, beni e servizi, sono circa 1.800 miliardi di euro all’anno.
Dedicando una quota di questa spesa agli acquisti verdi (il Green Public Procurement deciso da Bruxelles), si otterrebbe una formidabile spinta innovativa in direzione degli obiettivi di sostenibilità a livello locale, regionale, nazionale e internazionale. Ma molta strada deve essere ancora percorsa per rendere operativa questa scelta della Ue. Il quadro della situazione è tracciato dallo studio “L’economia circolare nelle politiche pubbliche. Il ruolo della certificazione”, realizzato da Accredia in collaborazione con l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
L’analisi parte dalla sinergia tra acquisti verdi ed economia circolare. “L’individuazione del GPP come una leva su cui poggiare un’applicazione efficace dell’economia circolare ha suggerito alle autorità europee l’elaborazione di un nuovo concetto. Quello del Circular Procurement che, in modo efficace, esprime l’esigenza di potenziare lo strumento del GPP allo scopo di incrementare, automaticamente e indirettamente, i risultati legati agli obiettivi previsti in materia di economia circolare. In tal senso, per garantire la più efficiente intersezione tra i due temi, assumono un ruolo fondamentale i criteri ambientali. Vanno infatti inseriti e valorizzati i principi propri della circolarità dei prodotti, quali ad esempio la durabilità, la riparabilità, la disassemblabilità, l’efficienza delle risorse, il riuso, la ristrutturazione/ammodernamento, il riciclaggio e l’acquisto di prodotti realizzati con materiali riciclati”.
Il Circular Procurement
Il combinato disposto di queste due spinte (Gpp ed economia circolare) fuse in una (il Circular Procurement) dovrebbe fornire lo strumento per migliorare una situazione decisamente critica. Nel 2012 – documenta lo studio – l’Europa riciclava o riutilizzava solo il 40% dei prodotti giunti a fine vita, conferendone il restante 60% in discarica o in impianti di incenerimento. Ciò comportava una perdita complessiva del 95% di materiale e di valore economico ed energetico: dal riciclo dei materiali e dal recupero di energia l’Europa riusciva a catturare solo il 5% del valore originale delle materie prime.
Una strategia di crescita
Nel 2010 il valore del Pil tentava lentamente di risalire rispetto al -4,4% dell’anno precedente mentre la disoccupazione si assestava intorno al 10%. Intanto, nel mercato europeo venivano immessi 65 miliardi di tonnellate di materie prime e la produzione di rifiuti raggiungeva i 2,5 miliardi di tonnellate. Oltretutto la quota di consumi energetici soddisfatti da fonti rinnovabili era ferma al 12,5%. Partendo da questi dati (insoddisfacenti) la Commissione europea ha dunque deciso di proporre la nuova “Strategia Europa 2020” delineando il passaggio a una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.
A due anni dalla data indicata (2020) il traguardo però appare ancora lontano. L’Italia viene indicata dal rapporto come il Paese leader nell’Unione europea per le politiche che riguardano il GPP perché è l’unico ad averlo reso obbligatorio a tutti i livelli amministrativi. Prevedendo infatti l’inserimento di CAM (Criteri Ambientali Minimi) specifici per settori merceologici e la creazione del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (operativo dal 14 gennaio 2017) per il monitoraggio sull’applicazione del GPP.
L’aggiornamento dei CAM
Eppure, nonostante la posizione di vantaggio all’interno del gruppo europeo, le difficoltà del nostro Paese nel campo del sostegno agli acquisti verdi non mancano. Le hanno evidenziate gli Stati Generali della Green Economy nel 2017, sottolineando le principali barriere riscontrate.
Tra questa vanno ricordate:
- disinformazione e impreparazione da parte della Pubblica Amministrazione sulle norme in materia di GPP e sulle tematiche ambientali;
- mancanza di linee guida chiare e parametri certi e condivisi sulla valutazione del costo del ciclo di vita e sulla quantificazione del valore economico delle esternalità ambientali;
- difficoltà da parte della Pubblica Amministrazione nella verifica di conformità dei beni e servizi offerti dai fornitori per quanto attiene alla rispondenza dei CAM;
- necessità di aggiornamento dei CAM con maggior frequenza.